I taccuini degli inviati sono sempre oggetti molto fascinosi. Il Pestelli ne conserva alcuni davvero preziosi. Fogli, quaderni, blocchi di carta. Storie raccontate con grafie minute e precise, interviste vergate in tutta fretta, magari in piedi appoggiati ad un muro, disturbati da colleghi impiccioni.

Pagine macchiate d’inchiostro, di gocce di pioggia, appunti presi su un treno o nell’attesa di un aereo. Pagine da dettare ai dimafonisti, con i segni delle virgole ben marcati, per non dimenticarsene quando finalmente il giornale era in linea. Lì c’è il mondo dei giornalisti che camminavano e qualche volta correvano. In quei taccuini ci sono anche numeri di telefono segretissimi di magistrati, avvocati, ministri.
Quando il telefono era solo quello della redazione o di casa. Taccuini che era meglio non lasciare in giro. Anzi, da far sparire agli occhi di qualche collega impiccione e concorrente, preso dall’ansia del buco.