
I taccuini degli inviati sono sempre oggetti molto fascinosi. Il Pestelli ne conserva alcuni davvero preziosi. Fogli, quaderni, blocchi di carta. Storie raccontate con grafie minute e precise, interviste vergate in tutta fretta, magari in piedi appoggiati ad un muro, spinti da altri colleghi. Pagine macchiate d’inchiostro, di gocce di pioggia, appunti presi su un treno o nell’attesa di un areo. Pagine da dettare ai dimafonisti, con i segni delle virgole ben marcati, per non dimenticarsene quando finalmente il giornale era in linea. Lì c’è il mondo dei giornalisti che camminavano e qualche volta correvano. In quei taccuini ci sono anche numeri di telefono segretissimi di magistrati, avvocati, ministri. Quando il telefono era solo quello dell’ufficio o di casa. Taccuini che era meglio non lasciare in giro. Anzi, da far sparire agli occhi di qualche collega impiccione e concorrente, preso dall’ansia del “buco”.

Le foto di questo post ritraggono una parte del ricco patrimonio giornalistico lasciato al Pestelli dalla famiglia di Remo Lugli, storico inviato de La Stampa. Sono taccuini dove Lugli racconta di processi e di giudici, di condannati e di assolti, di pubblici ministeri e di avvocati, un lungo viaggio da un tribunale all’altro dell’Italia degli anni Settanta e Ottanta. Lugli è scomparso nell’autunno scorso a 93 anni e Alessandra Comazzi su La Stampa ne ha tracciato il ritratto. Tutto su Remo Lugli qui sul suo sito, ancora oggi in costante aggiornamento
